Il papavero comune o rosolaccio (Papaver rhoeas L.) è una pianta erbacea annuale della famiglia delle Papaveraceae, assai comune nel Salento che in tarda primavera offre un meraviglioso spettacolo con le sue corolle rosso vivo che colorano le campagne. La specie, largamente diffusa in tutta Italia, cresce normalmente nei campi e sui bordi di strade e ferrovie ed è considerata una pianta infestante.
È alta fino a 80 – 90 cm. Il fusto è eretto, coperto di peli rigidi. Tagliato emette un liquido bianco. I boccioli sono verdi a forma di oliva e penduli. Il fiore è rosso dai petali delicati e caduchi. Spesso macchiato di nero alla base in corrispondenza degli stami di colore nero. Fiorisce in primavera da aprile fino a metà luglio. Foglie pennato partite sparse lungo il fusto. Il frutto è una capsula che contiene numerosi semi piccoli, reniformi e reticolati. Fuoriescono da un foro sotto lo stimma.
Il rosolaccio contiene degli alcaloidi, tra cui la readina, dotati di proprietà blandamente sedative, del resto il papavero rosso è un parente stretto del papaver somniferum (papavero da oppio), anch’esso spontaneamente presente in alcuni campi incolti del Salento, dal quale si estraggono alcaloidi oppiacei quali la morfina e la codeina. Il rosolaccio è infatti utilizzato da sempre nella medicina popolare erboristica per le sue proprietà sedative della tosse ed in quanto facilita il sonno, per brevi periodi ed alle dosi consigliate è decisamente sicuro ed addirittura è tradizionalmente usato anche nei bambini. Oltre ai petali, da cui tramite infusione si ottiene una tisana con un profumo gradevole e un colore rossiccio, si utilizzano anche le capsule alle quali i petali sono attaccati, raccolte quando il fiore è sbocciato ma non ancora sfiorito. Le capsule contengono gli stessi alcaloidi presenti nei petali, ma in concentrazione maggiore quindi fate attenzione. È facilmente possibile reperire in farmacia ed erboristeria opercoli contenenti estratto secco dei petali, venduti come integratori alimentari.
A partire dal mese di novembre e fino a metà primavera, invece, si possono raccogliere le foglie di questa pianta, per preparare minestre e piatti che fanno ormai parte integrante della cucina tipica del Salento e che comparvero sulle nostre tavole fin dall’antichità addirittura come piatto della colazione dei nostri braccianti.
La cosiddetta “paparina”, nel dialetto salentino, può essere mangiata in tanti modi, in insalata o in minestre insieme ad altre erbe spontanee ma nelle trattorie del Salento è facile trovarle come contorno e preparate secondo la più tipica ricetta: “paparine ‘nfucate”, cioè saltate in olio con aglio, olive nere e peperoncino.
Anche i petali del fiore di papavero possono essere consumati freschi mischiati in insalate, a cui doneranno oltre al loro delicato gusto un deciso tocco di colore.
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